Intervista su Castermag n.33 (gennaio/febbraio 2011)

16 gennaio 2011 Commenti disabilitati su Intervista su Castermag n.33 (gennaio/febbraio 2011)

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Voir l’usine et mourir

Da quanto tempo questo racconto maturava nel suo spirito? E quanti mesi sono stati necessari per elaborarlo?

Credo almeno cinque o sei anni. Per realizzarlo ho impiegato circa un anno.

Il suo libro parla dell’importanza della memoria. Sarebbe forse il caso di precisare che il luogo che lei descrive (la raffineria petrolchimica e il villaggio di Anic) sono veramente esistiti…

Ed esistono ancora, anche se il Villaggio ANIC è profondamente cambiato, architettonicamente e socialmente. La fabbrica invece è sempre lì che sbuffa e ruggisce incessante, giorno e notte, dal 1958. Ha cambiato nome varie volte, alcuni impianti sono stati ceduti ad altre società, anche straniere, ma quegli strani odori che invadono il quartiere soprattutto di notte, sono sempre lì, puntuali come le tasse.
L’intenzione però non era quella di fare un libro di denuncia e neanche la storia del quartiere ANIC di Ravenna. Morti di sonno racconta di una generazione che in quel quartiere ha consumato le proprie ansie vitali, le gioie e le disperazioni. E per farlo non poteva prescindere da quei luoghi, che così pesantemente hanno condizionato quelle vite. Il disagio, l’eroina, l’AIDS, l’inquinamento e le morti bianche sono temi universali, purtroppo, e non riguardano solo Ravenna e gli anni ’70, così come la difficoltà di vivere in un mondo sempre più lontano dai bisogni reali di chi lo abita.

Siccome si tratta di un lavoro largamente autobiografico, sembrerebbe addirittura vitale per lei, quali sono state le difficoltà che ha trovato? (Mi sembra che lei abbia fatto appello a vecchi compagni di scuola / penso anche che lei non abbia tenuto a citare i veri cognomi, o no?)

“Sì, è un’autobiografia. Ma non la mia.” Italo Svevo rispondeva così a una domanda sul suo romanzo La coscienza di Zeno. Morti di sonno non è la storia della mia vita, ma la storia di altri attraverso il mio sguardo. Che gli altri, in questo caso, siano amici o compagni di strada, complica parecchio le cose, naturalmente. Quindi sì, tra l’altro ho anche cambiato i nomi.

Qual è il messaggio che vuole far passare?
(È un po’ il ritratto di una generazione che descrive, i bambini degli anni 70 e 80, credo che lei mostri che questa generazione era portata alla trasgressione e, purtroppo, anche all’autodistruzione).

Trovo che la generazione di cui parlo sia molto interessante per vari motivi, tra cui l’ingenua e straordinaria energia vitale, ribellistica, la naivité. Quella vitalità incredibile e debordante che non temeva il ridicolo, sprovveduta certo, ma decisa ad affrontare il mondo, questo formidabile sconosciuto.

Lei è molto ellittico, per pudore senza dubbio, su certi soggetti forti… perché?
(Penso fra l’altro agli operai morti a causa dei rischi professionali legati alla fabbrica, o a tutti i compagni che cita come dispersi e che scopriremo essere scomparsi soprattutto a causa della droga).


È un tentativo di affrontare le cose con autenticità. Le parole a volte tocca tacerle, azzerarle. E’ una questione di rispetto e amore.

La maggior parte della sua graphic novel si situa nello sguardo di un bimbo un po’ sordo, Rino (detto Koper). Cio’ che evoca è anche una transizione verso l’étà adulta, con molti traumi e dolori …
(aggiungo che trovo strano che cosi poche ragazze siano presenti!)

Le donne qui sono ai margini: madri, sorelle, vicine di pianerottolo. Questo era il nostro piccolo universo machista. Nella giovinezza diventeranno anche molto altro, ma la mia storia non ne parla perché sarebbe stato un elemento talmente ricco da richiedere uno sviluppo del racconto tanto imponente quanto, temo, consolatorio.

Cosa l’ha spinta a scegliere questo trattamento grafico, in bianco e nero, lirico e a volte allegorico (per esempio quando mostra dei personaggi come Teodorico)?
Possiamo parlare delle sue influenze, ho l’impressione che lei conosca l’opera di Baru, o l’opera di Baudoin.

Lo stile grafico è venuto da sé, disegnando, così pure lo stile narrativo. Mi piace pensare che Morti di sonno,  dopo così lunga attesa, avesse troppa fretta di nascere per attardarsi in esercizi di stile e compostezza grafica.
Conosco e ammiro il lavoro di Baru e Baudoin e devo dire che sono lieto di essere accostato, in qualche modo, a loro. Li considero dei maestri. Di Baru ammiro la grande tecnica narrativa e la puntualità. Di Baudoin amo la libertà, la spontaneità del segno ed il calore. Aggiungo però Emanuel Guibert, che col suo La guerra di Alan ha tracciato un solco profondo nel mio modo di vedere la narrazione per immagini. Sento un’affinità profonda, prima ancora che con lo stile grafico e narrativo, con le premesse stesse della sua opera. In una recente intervista ad Animals, una rivista italiana, ha dichiarato che “la vita è una cosa che va celebrata”. Le ho sentite come le parole che spiegano il ‘senso’ di Morti di sonno.

Che eco ha avuto questa graphic novel in Italia?

Al di là di ogni mia aspettativa. Posso candidamente confessare lo stupore e la gioia che ho provato davanti alle parole e agli articoli apparsi su quotidiani, riviste, radio e TV.

Qual è il suo prossimo progetto?

Da mesi vivo con una storia che scrivo, faccio schizzi e mi appassiona e mi respinge… ci sono le donne.

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